Sito internet, Facebook, Twitter ma anche Pinterest e Youtube. Anche per il mondo del vino la rete non è più un tabù.
I dati arrivano dall’interessante Wine2Wine, il primo forum di Veronafiere-Vinitaly dedicato al business del settore vitivinicolo, dove è stata presentata la ricerca di BeSharable “Le imprese vitivinicole italiane e il web”.
Le cantine italiane che si scoprono sempre più 2.0 e connesse con il mondo intero H24. Gli appassionati di vino di tutto il mondo, i turisti ed anche chi opera, di mestiere, nel settore vitivinicolo sono connessi alla rete e possono accedere a moltissime informazioni: dal vino alla cantina, dalla geografia del luogo alle specifiche di una bottiglia, ogni informazione è a portata di mano.
Secondo l’indagine, realizzata su 3.439 imprese del settore, il 94% delle cantine dispone di un sito internet, supportato dalla presenza sui social, in primis Facebook che cattura il 73% dei profili aziendali, confermandosi il canale più utilizzato anche per il marketing.
Tra gli altri strumenti utilizzati è Twitter a primeggiare con il 30% delle cantine che ‘cinguettano’, subito seguito da Instagram, l’applicazione di condivisione delle immagini nata nel 2010, che raccoglie il 16% delle imprese italiane del vino.
L’informazione sui prodotti vinicoli “made in Italy” non è riservata al solo pubblico italiano, negli ultimi anni infatti si è verificato un vero e proprio “upgrade” linguistico del vino italiano che ora comunica anche in inglese per il 96% del panel.
L’attenzione rivolta all’informazione web è stata tra i protagonisti di Wine2Wine e non è mancato lo spazio dedicato ad un focus sul futuro.
Nel corso del seminario “Wine blog: utili o inutili?” infatti Paolo Errico, ad di SocialMeter by Maxfone (azienda italiana leader nell’analisi del mondo social grazie ad un algoritmo esclusivo nato dalla collaborazione con tre università e che coinvolge più di cento ricercatori) ha sottolineato che «Secondo la multinazionale Cisco nel 2020 nel mondo ci saranno 50 miliardi di device online generatori di Big Data che, solo negli USA, produrranno 1 milione di nuovi posti di lavoro per analizzarne i contenuti».