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Lidia Ravera: “In una società normale la vecchiaia sarebbe un privilegio, non una vergogna”

Lidia Ravera: “In una società normale la vecchiaia sarebbe un privilegio, non una vergogna”
Lidia Ravera

A soli 25 anni pubblica il suo primo libro, Porci con le ali ed è un grande successo (anche un po’ uno scandalo). Ma Lidia Ravera, oggi, è convinta di scrivere meglio rispetto alla se stessa venticinquenne. Cos’è cambiato? Semplicemente, è passato il tempo. Per nulla estranea alle riflessioni sulla vecchiaia o, per dirla con le sue parole, sul Terzo Tempo, Ravera cerca di ribaltare gli stereotipi legati all’ageismo. Lo fa con i suoi romanzi: come l’ultimo, Tempo con bambina, in cui, fra le altre cose, ragiona su cosa significhi essere nonna oggi. Ma lo ha fatto anche fondando una collana di romanzi che si chiama appunto Terzo Tempo (Giunti) sugli amori over, di cui parlerà al Silver Economy Forum del 5-6-7 novembre 2020.

Il suo ultimo libro, Tempo con bambina, racconta dei primi tre anni di vita della sua nipotina, Mara Piccola, che vive in Texas. Perché questo libro in questo momento?

Lidia Ravera: “Tempo con bambina è un memoir composto dalle mie osservazioni, pensieri e sentimenti da quando è nata la mia nipotina, che è in realtà la figlia della figlia che io ho adottato e che è l’orfana di mia sorella. I genitori della mamma di Mara sono morti quando lei aveva 10 anni e io l’ho adottata  con un’adozione tra consanguinei: è a tutti gli effetti mia figlia, l’ho cresciuta da quando era una bambina. Ma nello stesso tempo non lo è, tecnicamente è mia nipote. Allora il profondo shock emotivo che mi ha causato questa “nonnità”, la grande imprevista e imprevedibile felicità sentimentale che mi ha provocato, ho sentito il bisogno di raccontarli a mia sorella. Che sarebbe la vera nonna ma non ha fatto in tempo a coprire questo ruolo. 

Un ruolo sul quale non si riflette abbastanza. Da un punto di vista sentimentale, il ruolo della nonna è una sorta di perfezione perché ami senza obblighi. Non devi educare, non devi punire, reprimere, insegnare. Puoi amare e basta. Con quella forma di amore molto particolare che, secondo me, i bambini sentono e apprezzano enormemente che è l’affezione. 

Normalmente posso passare poco tempo con questa bambina perché vive dall’altro capo del mondo. Fino alla pandemia l’ho vista due volte all’anno, ovviamente per periodi più lunghi. L’emergenza sanitaria ci ha impedito tutto questo, quindi è quasi un anno che non la vedo, dal mio ultimo Thanksgiving. Allora ragionando sull’essere nonna ho provato un sentimento complesso, nuovo e molto appagante. Mi sono sentita quasi in colpa perché era un ruolo rubato, un ruolo non mio, anche se di fatto ho fatto da madre alla madre di questa bambina. È stata questa la spinta forte che mi ha portato a scrivere il libro, spinta che poi ovviamente si è universalizzata. Tempo con bambina, infatti, non racconta solo dei primi tre anni vita della mia nipotina ma dei primi tre anni di vita di qualsiasi essere umano. L’unico periodo nella vita  in cui cambi tutti i giorni. E questa è stata una scoperta formidabile perché il mio sogno, che continua ad accompagnarmi, è di continuare a cambiare. Osservando Mara ho visto che c’è un momento nella vita in cui questo miracolo accade.”

Cosa significa per lei essere nonna oggi? Se ripensa a sua nonna, cosa è diverso rispetto al passato e cosa invece rimarrà immutabile?

Lidia Ravera: “Nel libro sviluppo anche questa riflessione e ragiono su come sono cambiate le nonne nel tempo. Le nonne sono cambiate perché sono cambiate le donne. E le donne sono cambiate molto.

Al tempo di mia nonna, si era prima oggetto del desiderio, poi mamma, poi niente. Quando i figli crescevano cadevi in un baratro buio e non c’era più niente per te. Non avevi più diritto a sederti a tavola, metaforicamente. Quindi quando diventavi nonna avevi di nuovo un ruolo, perché non potevi avere altro che ruoli legati alla famiglia o alla riproduzione. Adesso non è più così, siamo persone. Diventiamo madri se lo decidiamo, non è più un destino inappellabile e siamo persone come gli uomini, diverse ma di pari valore. Oggi diventiamo nonne con molto desiderio ma nessun bisogno. Io non avevo bisogno di diventare nonna. Ne sono stata ovviamente felicissima ma non avevo bisogno. La mia vita è completa, ho il mio posto nel mondo in quanto Lidia Ravera, non come moglie o madre o nonna. Questa è una grande conquista, perché dal territorio del bisogno siamo passati al territorio del desiderio, che è molto più affascinante. Siamo nonne diverse innanzitutto per questo.

Poi abbiamo vite ancora piene. Io lavoro senza sosta, vivere di scrittura mi rende impossibile fermarmi. Ma ci sono molte donne che anche da pensionate hanno mille attività, mille impegni, hanno anche storie d’amore. Sono vive nelle relazioni umane e sentimentali, la vita continua. Certo, non hai più la pelle di pesca ma è l’unica cosa che cambia. Hai molto passato e poco futuro ma altre differenze non ne vedo. Siamo anche nonne, non solo nonne

Purtroppo il welfare è quello che è. I genitori e in particolare le madri, sono poco aiutati nella gestione dei figli in questo paese disastrato in cui viviamo. Quindi molto spesso i nonni sono ammortizzatori sociali: devono fornire ai figli e alle figlie che lavorano protezione e aiuto. Pensi alla situazione attuale: chiudono le scuole per il Covid-19 e i bambini rimangono a casa. Ma le donne, che pagano in maniera più dura questa crisi, come fanno a lavorare? Se non ci sono nonne e nonni diventa un problema.  Le nonne, che sono molto cambiate nel tempo, sono costrette dalle carenze del Welfare a coprire gli stessi ruoli delle loro nonne e non sono contente.” 

Come vive il tempo che passa? Oggi c’è un netto divario fra l’idea di vecchiaia e la realtà quotidiana dei senior. È proprio in questo spazio che si incunea l’ageismo, la discriminazione del nostro secolo, basata sull’età di una persona. Come vive ogni giorno l’ageismo e come lo combatte?

Lidia Ravera: “A 26 anni ho scritto il mio secondo romanzo: si chiamava Ammazzare il tempo e già analizzavo la tragedia dell’invecchiare. Mi sono talmente esercitata su questo tema che adesso l’ho perfettamente metabolizzato.

Diciamo che ho due linee. Una fisica che ho iniziato quando era giovanissima. Ho sempre corso, non ho mai smesso di correre e corro tuttora, 4 volte alla settimana facendo 6-8 km Al centro del mio rapporto con la vecchiaia c’è l’esercizio fisico.

Secondo ingrediente fondamentale è fare quello che ti piace. E soprattutto progettare progettare progettare come se il futuro fosse infinito. 

Contro l’ageismo, ho lavorato sull’immaginario collettivo, fondato e ideato una collana di Giunti che si chiama Terzo Tempo, che è una collana di romanzi d’amore con protagonisti sopra i 60 anni. Ne ho pubblicati otto, sei scritti da donne e due da uomini. Le uniche due regole che do agli scrittori che seleziono è che entrambi i protagonisti della storia d’amore devono avere più di 60 anni e che deve esserci, come nei rosa di una volta, il lieto fine. Questo è lavorare sull’immaginario collettivo per stroncare l’ageismo.

Anche perché penso che tutti noi abbiamo una gerla sulle spalle: in questa gerla a vent’anni c’è poca roba. A 60 c’è di tutto. Da quella gerla tiri fuori ogni giorno ciò che ti serve per vivere, per essere ogni giorno più intelligente, per scrivere. Io mi sento molto più ricca adesso rispetto a quando ho cominciato a 25 anni scrivendo Porci con le ali. Sono infinitamente più brava, scrivo di più, scrivo meglio, scrivo con più gioia. Perché la lunghezza della vita è assolutamente funzionale alla produzione letteraria. Funzionale anche al miglioramento di sé. In una società normale, non consumista, non artificiosa, la vecchiaia sarebbe un privilegio e non una vergogna. Contro questo combatto con le armi che ho a disposizione. Ho scritto una quadrilogia sulla vecchiaia, composta da quattro romanzi, Piangi pure, Gli scaduti, Il terzo tempo e L’amore che dura. Ho fondato questa collana di romanzi rosa. E poi sto scrivendo una sitcom per la  RAI che sarà una versione di Friends con protagonisti tra i 60 e i 70 anni. In radio facevo un bellissimo programma su Radio2 che si chiamava Me anziano You TuberS, in cui io e due giovani conduttori, Claudio di Biagio e Federico Bernocchi, confrontavamo in maniera buffa e spiritosa i nostri punti di vista sul mondo.

Contro l’ageismo ho agito su tutti questi fronti, come un carro armato. Soprattutto per la altre: io personalmente sto bene. Ma vedo in giro una sofferenza e delle menzogne che sarebbero così facili da evitare…” 

Le storie di amore over della nuova collana sono diverse in qualche misura da quelle più raccontate dei giovani?

Lidia Ravera: “Ci sono diversità e somiglianze, costanti e variabili. La costante è il batticuore, stare ore davanti allo specchio, controllare sempre il cellulare. C’è però una grande differenza: non hai più bisogno di vederti riflessa negli occhi di un altro. Sei nel territorio del desiderio, non del bisogno, perché sai chi sei. Da giovane mi piaceva vedermi riflessa negli occhi innamorati di un uomo o di un ragazzo perché mi vedevo bella, interessante e unica al mondo. Ora dello sguardo innamorato posso benissimo fare a meno. 

Quello che resto dell’innamoramento è il piacere della condivisione, di abbassare la guardia e lasciare che l’altro entri nella tua mente, nel tuo corpo, nel tuo pensiero. Naturalmente, ci sono modalità diverse. Per le donne non è più quella passione, posto che lo sia mai stata, essere penetrate. Gli uomini trovano un nuovo modo di fare l’amore meno guerresco e macho. Ma dopo una certa età, quando trovi qualcuno interessato a te, è come avere a che fare con un vero intenditore di antiquariato: ti sceglie perché ha gusto, non perché deve mettersi in mostra.” 

Micol Burighel

 

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