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Il pericolo asintomatici confermato dai virologi

Il pericolo asintomatici confermato dai virologi

Smentita l’incauta affermazione dell’OMS sulla diffusione del Covid-19

 di Rino Di Stefano

I soggetti asintomatici, cioè quelli che sono portatori sani del virus Covid-19, sono o non sono pericolosi?

Fino ad oggi la classe medica ci ha spiegato che, in effetti, queste persone costituiscono un serio pericolo per la salute dei cittadini. In pratica, non sapendo di essere un veicolo di infezione, involontariamente la trasmettono ad amici e parenti creando focolai un po’ ovunque. Questo è quello che ci è stato detto.

Adesso c’è invece una notizia che sta provocando parecchia confusione nel pubblico mondiale, e quindi anche a casa nostra. Ed è quella annunciata dalla dottoressa Maria Van Kerkhove, capo del team tecnico anti Covid-19 dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), durante un incontro con la stampa internazionale. “È molto raro – ha detto la Van Kerkhove – che una persona asintomatica possa trasmettere il Coronavirus”.

Apriti cielo! Questa affermazione, che avventatamente contraddice tutte le misure precauzionali fin qui adottate per evitare il contagio proprio da chi è asintomatico, ha immediatamente suscitato un vespaio.

“Gli asintomatici sono pericolosi, in tutte le malattie infettive svolgono un ruolo cruciale nella biologia degli agenti patogeni per trasmettersi – ha affermato il virologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare e Virologia all’Università di Padova, intervenendo nella trasmissione 24 Mattino condotta dai giornalisti Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24 – l’OMS dice che gli asintomatici non sono un problema, per assolversi da tutti gli errori fatti prima. L’OMS è un baraccone che va smontato e rifatto da capo”.

Secondo il professor Crisanti, il problema di questa informazione contraddittoria viene dalla struttura stessa dell’OMS. “L’OMS è finanziata da industrie private e da pochi Stati – afferma – Dovrebbe invece fare gli interessi di tutta la comunità mondiale. Abbiamo bisogno di una organizzazione diversa e indipendente. Trump ha fatto un errore a ritirare i finanziamenti perché l’ha resa così più vulnerabile a influenze esterne, invece l’OMS deve essere finanziata da Stati membri senza interferenze esterne”.

Come ci si ricorderà, il presidente Trump ha deciso di togliere gli USA dall’OMS, accusando l’organizzazione di avere un rapporto privilegiato con la Cina comunista e di farne gli interessi a livello planetario.

A riprova di quanto sostiene, il professor Crisanti porta lo studio “Abolizione dell’epidemia di Covid-19 nel comune di Vo’”, condotto da 36 studiosi guidati proprio da Crisanti, nel quale si parla di ciò che è accaduto nel piccolo paese dei Colli Euganei i cui residenti sono stati sottoposti per due volte a test all’inizio e alla fine della zona rossa lì voluta dalle autorità.

“La traccia dei contatti dei nuovi casi infetti e la ricostruzione della catena di trasmissione – si legge nello studio – hanno rivelato che la maggior parte delle nuove infezioni nella seconda rilevazione sono state provocate nella comunità prima del blocco o da infetti asintomatici che vivono nella stessa famiglia”.

Gli studiosi, infatti, hanno condotto un’analisi approfondita su otto nuove infezioni, trovate durante il secondo giro di tamponi, esaminando i loro precedenti contatti sociali. Il risultato, incontestabile, è che alcuni di loro avevano avuto contatti proprio con individui asintomatici.

Un ulteriore chiarimento viene dal professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che con un messaggio sul suo profilo Facebook conferma il disappunto verso quanto ha detto l’OMS.

“L’OMS dovrebbe usare un po’ più di cautela quando vengono date certe notizie – afferma Bassetti – Da un’istituzione internazionale così importante ci si aspetta che nel momento in cui si pronuncia, lo faccia su delle chiarissime e incontrovertibili evidenze scientifiche. Buona parte delle misure che stiamo utilizzando sono infatti state prese proprio per evitare il contagio dagli asintomatici e che di fatto questi ultimi rappresentino un problema importante”.

Secondo l’infettivologo genovese, probabilmente gli asintomatici non sono tutti uguali. Infatti, a suo avviso potrebbero essere suddivisi in quattro categorie.

I primi sono gli asintomatici che resteranno tali e che sono portatori sani del virus. Questi dovrebbero avere una bassa probabilità di contagiare.

I secondi sono i pre-sintomatici, cioè quelli presenti nella fase di incubazione; questi presenterebbero una maggiore probabilità di essere contagiosi.

I terzi sono i paucisintomatici, ovvero individui che presentano in apparenza sintomi lievissimi, tanto da poter passare inosservati, ma che in effetti hanno una carica virale più elevata.

I quarti, infine, sono i non più sintomatici, quindi coloro che sono guariti e che, nonostante questo, dopo due tamponi negativi tornano ad avere positività. Ebbene, in quest’ultima categoria si possono trovare soggetti che hanno una carica virale bassissima o addirittura nulla. Per cui non sono in grado di trasmettere alcuna infezione.

Da tutte queste osservazioni, il professor Bassetti conclude che “bisognerebbe quindi misurare la quantità di virus presente sul tampone o su altro materiale testato e dare un numero. Quindi non solo se uno è positivo o negativo, ma anche quanto virus c’è. Fare quindi un esame sia qualitativo che quantitativo. Solo così si potrebbe stabilire la soglia sopra la quale si è contagiosi oppure no”.

Insomma, la situazione è tutt’altro che semplice e va studiata con cura, per evitare di fare errori che potrebbero essere molto dannosi.

Comunque sia, le reazioni negative alla sua affrettata dichiarazione hanno indotto la dottoressa Maria Van Kerkhove dell’OMS a fare una rapida marcia indietro e pubblicamente ha dovuto ammettere che si riferiva solo “a un set di dati”. La frittata, però, ormai era stata fatta.

In ogni modo, anche se vediamo intorno a noi un notevole calo della pandemia da Covid-19, con un numero di contagi sempre più contenuto e una quantità di decessi minima rispetto a quella di appena un mese fa, la classe medica comincia a porsi anche altre domande.

Per esempio, quali siano gli strascichi lasciati dal Coronavirus in coloro che sono riusciti a guarire. Intendiamoci: l’emergenza non è ancora finita del tutto. Per cui il pericolo di essere contagiati, anche se in presenza di un virus apparentemente più indebolito, resta.

È dunque buona norma rispettare le normali precauzioni che le autorità sanitarie ci suggeriscono per evitare ulteriori e inutili conseguenze. Ce lo dimostra, appunto, la preoccupazione dei medici nei riguardi di chi, pur infettato dal virus, è riuscito a superare la fase critica e ad avere un tampone negativo nell’ultimo controllo effettuato.

Guariti sì, ma alcuni non del tutto. Secondo i pneumologi, infatti, almeno il 30% dei pazienti che sono stati colpiti dal Covid-19, nei mesi successivi all’infezione potrebbe presentare alterazioni fibrotiche. Si tratta di cicatrici importanti a livello polmonare che potrebbero evolvere provocando un’insufficienza respiratoria.

“Lo scenario è possibile, ma non ancora ben definito nei suoi confronti – afferma in una recente intervista il professor Venerino Poletti, past president dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri e direttore del Dipartimento Toracico della AUSL Romagna – Non sappiamo ancora se il danno polmonare possa rappresentare una sequela di cicatrici attive al polmone o invece determinare un processo fibrosante e progressivo. La cosa fondamentale sarà farsi controllare periodicamente, ma non solo. Sarà importante che le istituzioni nazionali e regionali confermino e consolidino le risorse umane e tecnologiche sin qui garantite, in modo che gli sforzi fatti dagli pneumologi consentano al Servizio Sanitario Nazionale di curare e seguire appropriatamente questi pazienti”.

La preoccupazione del dottor Poletti si basa su una minoranza di pazienti che diversi anni fa si ammalarono per infezione da SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), il cui agente patogeno presenta diverse analogie con il virus Covid-19. Del resto, non bisogna dimenticare che il nome scientifico di questo virus è SARS-CoV-2.

Ebbene i timori dei medici nascono proprio da ciò che hanno osservato nei pazienti in terapia intensiva, e che sono stati ventilati in modo meccanico, dopo lo sviluppo di un danno polmonare acuto. Insomma, visto che è pur sempre meglio prevenire che curare, gli pneumologi consigliano appunto controlli clinici funzionali e radiologici per evitare qualunque tipo di aggravamento futuro.

Messa in altri termini, la via per uscire dalla pandemia del Covid-19 è appena iniziata. E il percorso sarà tutt’altro che breve.

 

 

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