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Dalla truffa dei diamanti una riflessione su risparmio e investimenti

Dalla truffa dei diamanti una riflessione su risparmio e investimenti

Il caso che ha visto molte persone tra i 50 e i 70 anni coinvolte nella presunta maxi truffa dei diamanti, ha gettato un’ombra sulla questione risparmi e investimenti. Non è un segreto che molti over 50 siano interessati a mettere al sicuro il proprio patrimonio con l’intento sia di salvaguardarlo dall’inflazione, sia di garantire un’eredità sicura a figli e nipoti.

La vicenda, che tutt’ora è in pieno svolgimento, si è sviluppata intorno alle citate pietre preziose che sono state proposte come beni rifugio da diversi istituti di credito che le hanno sponsorizzate come altamente redditizie e facilmente liquidabili.

Ma come funzionava esattamente la compravendita? L’impiegato bancario proponeva all’investitore una forma di investimento alternativa, i diamanti, con un’interessante prospettiva di apprezzamento nel medio lungo periodo supportata da un canale di rivendita semplice e veloce. Gli istituti che hanno promosso questo investimento sono il Banco Bpm – Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Montepaschi. Il contratto di acquisto veniva successivamente stipulato tra Idb e Dpi (i fornitori delle pietre preziose) e il cliente, mentre alla banca venivano girate corpose commissioni valutabili intorno al 15 e al 20% del valore delle pietre preziose vendute.

L’operazione, sponsorizzata come un investimento a basso rischio, presentava i diamanti come beni rifugio in grado di aumentare di valore con il passare del tempo sulla base di listini rivelatisi non reali se confrontati con l’attuale andamento del mercato. Un dato che non è stato comunicato agli acquirenti è stato quello del mancato obbligo di riacquisto da parte della banca intermediaria (sostanzialmente promuovevano un investimento ma non ne garantivano la liquidazione futura). Di conseguenza, al momento della richiesta di vendita del diamante la banca avrebbe rifiutato l’acquisto e si sarebbe posta solo come ricollocatore del bene facendosi pagare una commissione del 10% sul valore di vendita (una bella somma).

Il meccanismo si reggeva su una dichiarazione del 2013 della Consob che ha sentenziato come l’acquisto di diamanti non può essere considerato un investimento finanziario e quindi non è soggetto alle regole di vigilanza tipiche del settore finanziario che garantiscono la liquidazione degli investimenti (per esempio la sicurezza di vendere dei titoli investiti per ricavare denaro liquido in caso di necessità).

Grazie a questi accorgimenti i controlli di Bankitalia e Consob sono stati aggirati perché se nel contratto non sono indicati un rendimento oppure un impegno o patto di riacquisto, ma solo la disponibilità a ricollocare il bene, l’operazione non è soggetta a controlli e non scattano le verifiche sull’operazione.

Stando a questi dati, si deduce l’importanza di rivolgersi a consulenti specializzati in investimento prima di intraprendere una qualsiasi attività finanziaria in cui non si ha esperienza, o di rivolgersi a più istituti bancari per verificare se gli investimenti che ci vengono proposti sono sicuri o in grado di fornirci un tasso di interesse in grado di coprire il rischio a cui ci stiamo esponendo.

Andrea Carozzi

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