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La battaglia al Covid-19 in un libro: intervista a Matteo Bassetti

La battaglia al Covid-19 in un libro: intervista a Matteo Bassetti
Matteo Bassetti all'interno dell'ospedale

Il Covid-19 raccontato da chi lo ha affrontato in prima linea. Parliamo del nuovo libro dell’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova e componente dell’Unità di Crisi Covid-19 della Liguria, scritto insieme alla giornalista Martina Maltagliati. Il volume Una lezione da non dimenticare. Cronaca della battaglia per sconfiggere il Covid-19 senza panico, né catastrofismo, edito da Cairo, è un percorso nei mesi della pandemia, in cui esperienza professionale e personale si accavallano. Sotto l’intervista a Matteo Bassetti. 

Prof. Bassetti, come nasce l’idea del suo nuovo libro, Una lezione da non dimenticare?

Matteo Bassetti: “Il libro è nato dalla voglia e dalla volontà di far vedere il lavoro di un gruppo di persone che si è misurato per tre mesi, tutti i giorni, con il Covid. Poi ho incontrato sulla mia strada Martina Maltagliati, giornalista di Quarto Grado con cui ho costantemente collaborato per tutto lo scorso inverno. Da questo connubio nasce Una lezione da non dimenticare. Avevo già scritto in passato dei libri di medicina: Martina mi ha dato una mano a rendere il messaggio che volevo dare, cioè un messaggio che fosse sia scientifico che umano, emozionale. È stata una bellissima esperienza. Soprattutto, è stato molto bello rendere fruibili al grande pubblico le emozioni, ma anche la parte scientifica e organizzativa. Nel libro c’è tutto questo. Ci sono tante emozioni, tanti fatti di vita vissuta, di organizzazione, di riunioni correndo da una parte all’altra,di vita familiare. È stato un modo anche per fare un po’ il punto di dove si era arrivati.” 

Un libro che parte quindi dalla sua esperienza personale in corsia. Dove arriva? 

“Il personaggio Matteo Bassetti è stato a volte chiacchierato negli ultimi mesi. Ma se si legge il libro, e si pensa che è stato finito a luglio 2020, all’interno si trova esattamente quello che poi è successo. Lo dico scherzando ma è quasi il libro di un veggente. All’epoca dicevo già che bisognava potenziare la medicina del territorio, che bisognava parlare alle persone spiegando che questa è un’infezione che nel 90% dei casi è gestibile, che non c’è necessità di correre in ospedale. Ancora ripetevo che bisognava investire nel piano vaccini, spiegando alla gente quanto sono importanti i vaccini, per non arrivare a gennaio e febbraio con un’Italia piena di novax. Facevo notare che bisognava investire per assumere medici e infermieri e potenziare i reparti di malattie infettive e quelli di media intensità, più che quelli di rianimazione. Tutte cose che prontamente si sono realizzate in senso negativo, perché non sono state ascoltate.”  

Per lei ci sono stati degli errori in Italia a livello di gestione Covid?

“Molti errori. Penso che nella prima parte dell’emergenza abbiamo fatto bene. Nessuno si aspettava questa infezione, ci ha colti di sorpresa e non sapevamo bene ancora cosa stavamo affrontando. Ci siamo tutti rimboccati le maniche, tra personale medico e popolazione ed è stato un vero momento di unione nazionale.

Poi però non abbiamo saputo dare continuità. Ci siamo disuniti, proprio come popolo. Le decisioni prese sono state sbagliate, con poca chiarezza a livello comunicativo. Se devo dire come abbiamo gestito la pandemia nel complesso dico malissimo. Se devo guardare alla prima fase invece benissimo. Con la seconda fase abbiamo fatto un disastro, cancellando ampiamente i meriti della prima gestione.”

Il sottotitolo del libro è Cronaca della battaglia per sconfiggere il Covid-19 senza panico, né catastrofismo. Pensa che i media abbiano cavalcato la retorica della paura? 

“Credo che una delle responsabilità più grandi del post-prima ondata vada alla categoria dei media. Tutta l’estate è passata con la pubblicazione giornaliera della conta dei morti, nonostante il periodo estivo sia stato il momento più basso dell’epidemia. Le persone sono arrivate stanche all’autunno, quando nuovamente c’era bisogno di maggiore impegno da parte loro. La comunicazione era sempre catastrofista, non c’era mai la volontà di sottolineare notizie positive come il numero dei guariti. Fa molto più notizia il morto del sopravvissuto. È a questo che mi riferisco quando parlo di panico. E il panico ha portato anche le persone a riversarsi nei pronto soccorso, con la paura di essere intubati. 

C’è da dire che questo tipo di comunicazione è stata molto assecondata da alcuni miei colleghi. Probabilmente sperando che le persone, spaventandosi, avrebbero seguito con maggiore impegno le raccomandazioni. In realtà è stato il contrario.”

Come usciremo da questa situazione? Quando torneremo a una parvenza di normalità?  

“Adesso stiamo vivendo questa bellissima speranza che ci dà finalmente il vaccino. Credo che il 2021 sarà l’anno della consapevolezza dell’importanza del vaccino. Spero che più italiani possibili si vaccineranno, senza bisogno di obbligarli. La coercizione non è mai positiva. Le persone dovrebbero capire l’importanza del vaccino e liberamente farlo. 

Se vogliamo tornare alla normalità, è la nostra unica soluzione. Dobbiamo mettere in sicurezza le persone più vulnerabili, come gli anziani e chi è più fragile. Dovremo essere pronti a vaccinare più persone possibili. 

Se guardo al prossimo Natale lo vedo senza mascherina, con il 90% di Italiani vaccinati. Se non saremo in grado di vaccinarci a prescindere dagli obblighi dal governo, ma ci dimostreremo un popolo ancora diviso e immaturo, allora sarà il nostro fallimento come Stato. Senza parlare del fatto che diventeremmo anche un paese isolato all’interno dell’Europa. Sì, nel vaccino ripongo tutte le speranze.” 

Micol Burighel

 

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