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Giuseppina Virgili, “eroina” dell’imprenditoria al collasso

Giuseppina Virgili, “eroina” dell’imprenditoria al collasso

virgili - fallimentoDonna forte, di grande carattere e lucida intelligenza. Sono molti i pregi che si possono attribuire a Giuseppina Virgili, 55 anni di Scandicci (Firenze), ex imprenditrice di alta moda, tutta italiana e fatta a mano, con azienda fallita ed ora a casa del padre, pensionato da 750 euro al mese, che la ospita insieme alla figlia, 23enne, studentessa modella ed aspirante giornalista a 50 centesimi a pezzo, sfruttata come migliaia di analoghi giovani e meno giovani che fanno informazione.

Due esempi di ingiustizia sociale in un Paese dove questa, da decenni, è una bandiera sventolata, almeno a parole, da demagoghi al potere. Esemplare, anche se purtroppo non unica, la storia della Virgili, vittima di banche, burocrazia, leggi sbagliate che penalizzano chi imprende, crea ricchezza, lavoro ed occupazione. Indifeso davanti ad una Stato che mantiene, invece, carrozzoni tecnico- burocratici inutili, improduttivi e costosi. “In Italia – afferma la signora Giuseppina – è penalizzato chi non viene pagato, non chi non paga”. La donna, infatti, vide cessare i pagamenti dei suoi debitori quando venne chiesto il suo fallimento e le banche chiusero il rubinetto. Richiesta di fallimento della quale seppe a cose fatte in quanto il commercialista, che la donna non riusciva a pagare causa crisi e profondo rosso nei conti, aveva smesso di seguire i suoi bilanci. Sola contro tutti, senza poter manifestare come invece molti sfortunati esodati e cassintegrati di grandi aziende e casi perciò nazionali; singola tra singoli con analoghi problemi ma senza voce, svendette le proprietà e cercò disperatamente di arginare la china cercando seimila euro per creare un campionario per sbarcare in Europa, che nessuno però volle darle, compresi centri anti usura cui si rivolse in estrema ratio.

Chiusa l’azienda, racconta la donna, “con la mia valigia sono tornata da mio padre”. Dramma di una persona capace e produttiva che fa venire i brividi e montare la rabbia. Incapace di alzare bandiera bianca per carattere e dignità, Giuseppina attende dalla Cassazione l’esito del ricorso contro il fallimento che ha mandato a casa lei, 5 suoi dipendenti ed altrettanti di un’altra piccola azienda che lavorava per lei. Donna over 50 simbolo dell’Italia vera e non quella dei talk show televisivi, dove peraltro anche lei è apparsa raccontando la sua storia con passione ed adducendo argomenti fatti di ragionevolezza, quando i protagonisti di questi programmi, soliti noti che sempre e comunque sono tutelati da alti e sicuri stipendi facciano bene o male, non hanno mai proposto. Giuseppina ha fondato il Comitato Piccoli Imprenditori Invisibili (Copii, sede ad Empoli) e sta girando l’Italia in nome di questo, forse sperando che chi decide ogni giorno le nostre sorti (burocrati, tecnici e politici) si accorga che gli “invisibili” sono le stesse categorie che hanno ricostruito l’Italia sfasciata dalla guerra negli anni ’50 e ’60.

A sconfiggere l’azienda della Virgili è stata la crisi ma soprattutto la burocrazia, i lacci che legano gli imprenditori medio piccoli, il commercio e l’artigianato. Il Comitato ha lo scopo di tutelarli, dando loro assistenza legale, proponendo nuove leggi. “Il mio sogno è stato infranto” si rammarica la ex imprenditrice anche se dice che spera “di tornare a fare quello che facevo”. Ed avanza una proposta che farà magari inorridire i molti nel Paese che vogliono garantiti i diritti “ma dimenticano che ci sono anche i doveri, mentalità inculcata in tutti questi anni e sbagliata”, incalza la ex creatrice “fashion”: “anziché lavoro dipendente, tutti autonomi con partita Iva – propone – per cui ti pago per quello che produci, e tu ti paghi quello che devi pagare per pensione e malattia. Altrimenti da questa situazione non se ne esce, perché la forza è nel piccolo imprenditore. Basta vedere le mega aziende oggi come stanno andando e cosa stanno facendo”. Fantascienza sociale? No, forse ricetta che pone tutti davanti alla necessità di lavorare in maniera produttiva e non teorica. Dovrebbe rifletterci con coraggio ed onestà intellettuale la politica.
Dino Frambati

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