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Eredità digitale: tutelarsi dai furti in rete

Eredità digitale: tutelarsi dai furti in rete

La nostra collaboratrice, Avv. Valeria Caputo, ci spiega oggi come proteggere le nostre informazioni in rete…anche attraverso un testamento.

La nostra vita è stata completamente rivoluzionata dall’avvento della tecnologia, qualunque gesto quotidiano viene effettuato attraverso il web: dal prenotare biglietti, vacanze, compiere operazioni bancarie, stipulare contratti, condividere foto, cercare amori ed amicizie. Il virtuale ha completamente soppiantato il reale, ma chi si nasconde veramente dietro il monitor? Siamo certi che il soggetto con il quale interagiamo sia il nostro vero interlocutore?

Identità personale e digitale apparentemente possono anche viaggiare su binari non paralleli, nel senso che la seconda non necessariamente sembra corrispondere alla prima: un soggetto, infatti, può assumere in rete identità fantasiose diverse da quelle corrispondenti alla sua reale posizione anagrafica.

Ma è davvero così? Quanta verità c’è in queste affermazioni?

Per risolvere questo dilemma, occorre fare un passo indietro ed individuare la chiave di volta del sistema: l’identificazione, che rappresenta l’elemento essenziale a fini giuridici e non: essa difatti serve a differenziare una persona dall’altra ed evitare che un soggetto terzo effettui operazioni a nome proprio, o viceversa.

Di norma, nelle semplici operazioni quotidiane, l’identificazione viene effettuata attraverso l’uso di password e login, che, però, possono essere usurpate molto velocemente sul web: basta indovinare la combinazione giusta di algoritmi o semplicemente ottenere queste informazioni con l’inganno.

La suddetta velocità, perciò, è percepita come pericolosa e rende scettici a lasciare i propri dati sensibili su internet, ad effettuare operazioni bancarie, etc., come se questo “mondo virtuale” (che in realtà di virtuale ha ben poco, basandosi su solidissimi elaboratori e su sistemi e procedure ben reali) fosse più pericoloso o anche solo diverso rispetto a quello cui siamo abituati.

A ben guardare, i “furti di identità” sono sempre esistiti; quello che è cambiato è il tipo di supporto. Piuttosto che del cartaceo ci si serve del telematico, ma le insidie ed i pericoli sono uguali. Si è passati dai falsificatori di documenti di identità (si pensi solo a quanto facevano i partigiani nel periodo della guerra mondiale, falsificando buoni annonari, carte di identità, permessi di transito, ecc. ecc.) ai  criminali informatici che cercano le informazioni sulle vittime nei social network o nei siti web aziendali, ed inviano email in cui consigliano di cliccare su allegati o indirizzi: la vittima cade nel tranello perché la email inviata non ha le sembianze dello spam, sembra proveniente da una società collegata in qualche modo a quella della vittima, mentre in realtà è un virus che infetta il computer installando programmi in grado di intercettare tutto quello che viene digitato su una tastiera, quindi anche informazioni importanti come username e password, documenti riservati e coordinate bancarie.

Sono state predisposte misure di sicurezza per tutelare i nostri dati personali e sensibili sparsi nei vari database, misure di sicurezza molto più valide di quello usate nella “realtà cartacea”. Alcune di queste misure sono definite biometriche, ossia usano aspetti della corporeità umana per accedere al digitale: “Impronte digitali, geometria della mano o delle dita o dell’orecchio, iride, retina, tratti del volto, odori, voce, firma, uso di una tastiera, andatura, Dna. Si ricorre sempre più frequentemente a questi dati biometrici non solo per finalità d’identificazione o come chiave per l’accesso a diversi servizi, ma anche come elementi per classificazioni permanenti, per controlli ulteriori rispetto al momento dell’identificazione o dell’autenticazione/verifica, cioè della conferma di una identità” (Rodotà).

Ma cosa succede al nostro “patrimonio digitale”, ossia alle nostre email archiviate, foto, file, immagini, documenti, quando moriamo? In America, da anni, si parla di eredità digitale (digital inheritance), ed esistono siti, come ad esempio “legacylocker”, che fungono da  cassetta di sicurezza, ove lasciare le nostre password in modo che, al momento del decesso, vengano comunicate via mail alle persone che noi indichiamo.

Il nostro diritto civile non si occupa specificamente di eredità digitale ma, se riteniamo di aver disseminato il web di informazioni significative, la soluzione consigliabile è quella di predisporre un testamento con il quale lasciare ai nostri eredi precise indicazioni al riguardo.

In alcuni casi (Facebook) è perfino possibile creare una sorta di “mausoleo digitale”, conservando per l’eternità il proprio profilo congelato, com’era al momento della propria morte.

Com’è noto, il testamento è un negozio a forma rigidamente vincolata, ossia per la cui validità la legge una forma precisa ed inderogabile. Il difetto dell’autografia determina, ad esempio, l’invalidità dello stesso. Sappiamo però che oggi, con l’uso della “firma digitale” è possibile sottoscrivere legalmente documenti. E’ allora da considerarsi valido anche il testamento redatto in forma digitale, ossia quello formato con strumenti informatici e sottoscritto con firma digitale? L’art. 10 del d.P.R. n. 445/2000, sancisce che il documento informatico così sottoscritto fa «piena prova, fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto».

Ma non basta. Per essere valido, il testamento c.d. “olografo” deve essere redatto di pugno del testatore. La redazione e la sottoscrizione digitale sono idonei a soddisfare il requisito dell’olografia? Anche se comunemente la sottoscrizione con firma digitale rende lo scritto riferibile totalmente al sottoscrittore, nel caso del testamento essa non è sufficiente a conferire validità al documento.

Se, invece, non viene disposto testamento, la  situazione è molto più complessa: occorrerà valutare caso per caso le vicende della nostra eredità digitale. Per quanto riguarda i file memorizzati su PC, pennini, e supporti vari, essi diventeranno senz’altro dei nostri eredi che potranno disporne con tutto quello che in essi è memorizzato, analogamente a quanto accadeva in passato con gli album di foto e  le lettere dei nostri cari. La situazione è più complessa per le e-mail e le pagine dei social networks: in teoria  gli eredi subentrano in tutti i rapporti giuridici del defunto. Ma le cose in realtà sono più complesse, per vari motivi:  la gran parte di questi servizi è fornita da soggetti stranieri, per cui potrebbero porsi questioni complicate in relazione alla legge e alle procedure applicabili; e poi occorre fare attenzione a quanto prevedono le clausole contrattuali dei singoli accordi che abbiamo sottoscritto on line.

Come si accennava prima, Facebook consente agli eredi, che ne facciano richiesta la possibilità di conservare la pagina del defunto, trasformandola in una sorta di “mausoleo virtuale” senza aggiornamenti di stato (il famoso “a cosa stai pensando”).

Per la posta elettronica su “Gmail” gli eredi  potrebbero accedervi esibendo il certificato di morte e la prova di aver intrattenuto con il defunto corrispondenza telematica.

Hotmail, invece, consente agli eredi di accedere alle e-mail del de cuius richiedendo soltanto il certificato di morte, mentre Yahoo esclude la possibilità che gli eredi possano accedere on line al nostro account; al massimo, se ne faranno richiesta documentata, potrebbero ricevere un CD contenente la corrispondenza telematica del defunto. Ovviamente  occorre effettuare queste operazioni prima che gli account vengano disattivati dopo mesi di inattività.

In altri termini, ciò che occorre tener presente è che, per quanto apparentemente virtuali siano, i rapporti conclusi via internet sono in effetti veri e consueti rapporti giuridici, contratti con i quali si stabilisce l’erogazione e l’utilizzazione di determinati servizi forniti da società informatiche.

Ecco perché, quando ci si iscrive a social network o a sistemi di posta elettronica, occorre leggere molto attentamente le condizioni contrattuali, magari conservandole e stampandole in modo da mantenerne memoria nel futuro, assicurando così il corretto esercizio dei singoli diritti.

Non credete perciò alle sirene della virtualità: quel mondo è concreto e ricco di opportunità, ma anche di pericoli, così come quello cui siamo abituati.

Avv. Valeria Caputo

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