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Ageismo in tempo di COVID-19: la discriminazione della terza età

Ageismo in tempo di COVID-19: la discriminazione della terza età
Ageismo al tempo del covid. anziano in mascherina dietro a un vetro

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce ageismo la presenza di stereotipi, pregiudizi e/o atti di discriminazione contro le persone sulla base dell’età. L’ageismo è un concetto multidimensionale che include tre domini principali: gli stereotipi fanno parte del dominio cognitivo, i pregiudizi appartengono al dominio affettivo mentre gli atti di discriminazione sono parte della dimensione comportamentale. Gli stereotipi, i pregiudizi e gli atti discriminatori propri dell’ageismo si possono esprimere a tre livelli: nel singolo individuo, a livello di società e a livello delle istituzioni.

I fenomeni di ageismo vengono evidenziati per lo più con strumenti espliciti, cioè che registrano le dichiarazioni delle persone coinvolte. Tali strumenti risultano tuttavia poco efficienti in termini di accuratezza, calibrazione e capacità di discriminazione e pertanto probabilmente sottostimano il fenomeno.

Ageismo in ambito sanitario

Già nel 2010 il Ministero della Salute aveva affrontato in maniera molto accurata il fenomeno dell’ageismo. Nel Quaderno del Ministero della Salute dedicato all’assistenza clinica, tecnologica e strutturale all’anziano viene infatti fornita una definizione di ageismo sovrapponibile a quella sopra riportata. Si parla di attitudini pregiudiziali contro gli anziani, pratiche perpetranti gli stereotipi sugli anziani, azioni di discriminazione. Entrando più in dettaglio nell’ambito sanitario il documento distingue un ageismo diretto, in cui l’atto discriminatorio conduce alla negazione di un diritto a causa dell’età,  e un ageismo indiretto in cui il fattore età contribuisce a influenzare le scelte e gli atteggiamenti nei confronti degli anziani.

Un esempio tratto dalla letteratura geriatrica

Un esempio di stereotipo è quello di considerare gli anziani come una popolazione omogenea per caratteristiche cliniche, biologiche, funzionali e psico-sociali. È evidente come tale stereotipo sia distante dalla realtà. Per definizione, infatti, il fenomeno dell’invecchiamento è caratterizzato da una grandissima eterogeneità, che dipende dalla interazione tra loro delle diverse dimensioni che definiscono la persona anziana: il patrimonio genetico, le caratteristiche biologiche, le capacità funzionali e cognitive, la presenza o meno di disabilità o malattie (soprattutto quelle ad andamento cronico), la formazione culturale, il grado di partecipazione sociale, l’aspetto economico, la presenza o meno di una rete familiare e lo stato di coabitazione.

Gli studi clinici in ambito geriatrico hanno ampiamente dimostrato che l’impiego della valutazione e gestione multidimensionale all’anziano, ricoverato in ospedale, seguito in ambulatorio e a livello di popolazione generale, permette di ottenere una riduzione significativa di disabilità, istituzionalizzazione (in RSA), ricoveri in ospedale e anche mortalità. Non solo, ma l’approccio multidimensionale permette di valutare il grado di fragilità e la prognosi della persona anziana. Due elementi cruciali per definire le decisioni cliniche di cura più appropriate e condivise evitando da una parte i fenomeni di accanimento terapeutico e dall’altra un astensionismo legato solamente all’età avanzata del soggetto.

In un recentissimo studio condotto a Genova, nel periodo immediatamente precedente la pandemia Covid-19, su 1.337 soggetti ultra65enni frequentatori dell’Università della Terza Età,  alla domanda esplicita per valutare l’ageismo percepito: “Negli ultimi 5 anni si è sentito discriminato per la sua età?” il 6,2% dei partecipanti ha risposto affermativamente. Tra i diversi fattori considerati (clinici, funzionali, socio-economici), il grado di fragilità multidimensionale è risultato il fattore più importante significativamente associato all’ageismo percepito. Per questo identificare e prevenire la fragilità nella persona anziana ha il grande significato anche di contrastare l’ageismo.

Come contrastare l’ageismo

“Il sistema sanitario nazionale è chiamato a rigettare ogni forma di ageismo, estraneo alla nostra cultura e ai nostri comportamenti, considerato che la Costituzione Italiana e il Codice Deontologico sanciscono l’equità del diritto di accesso alle cure e bandiscono ogni forma di discriminazione basata sull’età o sulla condizione psicofisica del paziente”. Con queste parole, circa 10 anni fa, il Ministero della Salute ha fornito un chiaro indirizzo operativo e metodologico di approccio alla persona anziana. Non solo, ma ha anche definito quali sono le cinque azioni prioritarie da adottare per contrastare l’ageismo in ambito sanitario:

  • Nuovi trattamenti e studi clinici dedicati all’anziano. Curiosamente gli studi che esplorano l’efficacia e la sicurezza dei farmaci tendono ancora oggi ad escludere i soggetti anziani, che pure sono la fascia di popolazione che maggiormente utilizzerà tali farmaci;
  • Informazione e documentazione. In ambito sanitario il consenso informato non può e non deve essere una formalità per attenersi alla normativa sulla privacy. I concetti di privacy e di informazione sono cruciali per combattere l’ageismo in quanto garantiscono che le scelte e le decisioni siano oltre che appropriate anche condivise con il paziente;
  • Accesso ai nuovi servizi. Adeguamento dei posti letto specialistici in ospedale, incluse aree dedicate alla terapia sub-intensiva ed intensiva, ma anche una rete funzionante ed integrata ospedale-territorio, che tenga conto della attuale realtà demografica di invecchiamento della popolazione, sono cruciali per garantire appropriatezza delle cure. Al riguardo una recente (giugno 2020) indagine promossa dalle Società Scientifiche di Geriatria (SIGOT e SIGG) per conto del Ministero della Salute ha documentato come in numerose e popolose regioni italiane (ad esempio Lombardia, Campania e Sicilia) il numero di posti letto delle Unità di Geriatria sia pericolosamente al di sotto di quanto raccomandato sulla base dell’ indice di invecchiamento della popolazione residente. Ciò è in assoluto contrasto con l’evidenza epidemiologica e clinica che vede i soggetti anziani rappresentare la quota prevalente delle richieste per assistenza medica in urgenza anche in tempo di COVID-19;
  • Equità ed eticità degli atti medici. Le decisioni cliniche – lo dice l’OMS – devono essere basate sulla prognosi del soggetto, sui dati di efficacia e sicurezza dei trattamenti, sulla valutazione dei rischi e i benefici delle cure (inclusa la qualità di vita) e sulle preferenze individuali. Al riguardo, la valutazione multidimensionale e alcuni strumenti da essa derivati, quali il Multidimensional Prognostic Index (MPI), sono oggi considerati il “riferimento standard” per definire percorsi diagnostici e terapeutici veramente personalizzati;
  • Accesso alle nuove tecnologie. Numerosi progetti di ricerca hanno ampiamente dimostrato che la tecnologia informatica, la teleassistenza, la telemedicina, ma anche l’impiego di strumenti di domotica e robotica sono utili ed efficaci nella cura e nel monitoraggio delle persone anziane, soprattutto a domicilio. Affinché i frutti di questa attività di ricerca vengano messi in campo e divengano operativi, tuttavia, è necessario che la rete internet sia efficiente e ubiquitaria, che gli strumenti (tablet, PC, cellulari, sensori di monitoraggio, ecc.) siano disponibili per tutti a prezzi accettabili ed infine che sia garantita la sicurezza della trasmissione dati, in termini di privacy, dal momento che con le tecnologie si trasmettono informazioni sensibili del singolo individuo.

Conclusioni

“Una società si misura da come si prende cura dei suoi cittadini vecchi” scrive l’OMS. La pandemia Covid-19 ha accentuato l’esclusione e il pregiudizio contro gli anziani. Questa crisi ha acceso anche un dibattito che è andato oltre il settore specialistico geriatrico, su questioni, ad esempio, relativi al valore della vita in funzione dell’età anagrafica, senza apparentemente tener conto dei contributi di valore degli anziani alla società.

I media non hanno aiutato.  Uno studio condotto in Spagna ha analizzato 501 titoli di giornali e di telegiornali durante la prima fase della pandemia COVID-19. Il 71,4% dei titoli ha rappresentato gli anziani in maniera sfavorevole, come un gruppo omogeneo, associati con la morte, sono state amplificate le deficienze nelle strutture residenziali (RSA), l’estrema vulnerabilità della persona anziana, spesso anche adottando una terminologia impropria, talvolta offensiva e, alla fine, fornendo una rappresentazione negativa del mondo dell’anziano.

Per questo, recentemente le Società Francese di Geriatria e Gerontologia si è fatta promotrice assieme alla Società Europea di Medicina Geriatrica (EuGMS) e alla Società Internazionale di Geriatria e Gerontologia (IAGG) di una campagna informativa contro l’ageismo. Anche SIGOT (Società Italiana di Geriatria Ospedale Territorio) e SIGG (Società Italiana Gerontologia e Geriatria) hanno immediatamente aderito a questa iniziativa, assieme ad altre 43 Organizzazioni di Società Geriatriche nel mondo, dall’Armenia alla Thailandia, per la promozione di un messaggio importante. “OLD LIVES MATTER” a ribadire che  “le vite degli anziani sono importanti e valgono”.

Alberto Pilotto, Presidente SIGOT (Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio), Direttore Dipartimento Cure Geriatriche, Ortogeriatria e Riabilitazione, E.O. Ospedali Galliera, Genova, Professore Straordinario di Geriatria, Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, Università degli Studi di Bari

 

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